Una speranza per il basket lucano: Giuseppe Delia e la sua avventura ad Agropoli

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Il movimento cestistico lucano non ha vissuto una delle annate migliori: se per la Bawer Matera la salvezza è arrivata solo nelle ultime giornate, le squadre di provincia si sono dovute accontentare di campionati mediocri che non hanno portato ne infamia ne gloria alle rispettive storie societarie. Se la Pink Touchdown Bernalda ha chiuso la stagione in DNC con 12 punti, alla Timberwolves Potenza non è andata meglio: la formazione del capoluogo ha chiuso all’ultimo posto, ottenendo la salvezza grazie alla riforma dei campionati. Dunque, una stagione tutt’altro che esaltante ed un futuro ancora tutto da decifrare per le principali squadre di pallacanestro lucane. Nonostante un’annata abbastanza anonima per il movimento lucano, in giro per l’Italia si sono distinti alcuni professionisti della nostra regione che hanno messo a disposizione di piazze blasonate la loro professionalità: ad Agropoli, ad esempio, lo staff tecnico che sta guidando la formazione campana alla promozione in Serie A2 è composto da due vecchie conoscenze del basket lucano. Il coach è Antonio Paternoster, tecnico potentino con numerose esperienze in giro per il Sud Italia, affiancato come assistant coach da Giuseppe Delia, ventisettenne allenatore originario di Bernalda che sta continuando il suo processo di crescita come guida tecnica e responsabile del settore giovanile. Infatti, Delia è esperto di giovani, avendo guidato con successo i settori giovanili di alcune società di pallacanestro italiane tra cui Stella Azzurra Roma, Magic Basket Chieti e Cestistica Bernalda. L’attuale stagione è risultata avvincente, con Agropoli che ha chiuso la regular season in prima posizione ed attualmente è in lizza per la promozione conclusiva, avendo ottenuto la qualificazione alla Final Four di Forlì che sancirà le tre neopromosse nel campionato di Serie A2. Giuseppe Delia non sta nella pelle per l’incredibile risultato che la sua società sta maturando sul campo: ” Leggendo i numeri della nostra stagione, su 38 gare ufficiali giocate tra campionato, play off e Coppa Italia, ben 33 sono le vittorie e solo cinque le sconfitte. Potrei dire di aver fatto il massimo, un lavoro da incorniciare, ma non è così perché sabato 13 giugno in quel di Forlì, ci giocheremo la conquista della SerieA2 e giocheremo per dimostrare che con sacrificio, umiltà, determinazione, voglia e programmazione i risultati devono per forza arrivare”.

Giuseppe, quando hai capito che la pallacanestro sarebbe diventata la tua professione?
E’ nato tutto per caso: nel 2007 mi sono trasferito a Chieti per studio. Non volevo lasciare il basket, ma nello stesso tempo l’università mi portava via tempo ed energie. La società che in quegl’anni si occupava del settore giovanile nella cittadina abruzzese, sapendo della mia passione, mi propose di dare un contributo come istruttore. Poi, a distanza di 2 anni, mi ritrovai catapultato in un mondo che non conoscevo (vi assicuro che l’allenatore e il giocatore sono due mondi completamente diversi pur appartenendo allo stesso “rettangolo”) ma che mi piaceva sempre di più, tanto da convincermi che questa potesse essere la mia strada.

Quest’anno sei l’assistente di coach Paternoster in uno staff tecnico tutto lucano che sta dando grosse soddisfazioni al Basket Agropoli. Come è arrivata questa chiamata e come reputi questa tua nuova esperienza?
Quest’anno stiamo dando, e naturalmente ricevendo, grandi soddisfazioni. Il Basket Agropoli nasce un po’ per caso e un po’ per fortuna: l’estate scorsa ho viaggiato in lungo e largo l’Italia per trovare qualcosa che mi potesse dare quello che non ho ricevuto dalla società del mio paese sia dal punto di vista tecnico che umano. Conoscevo Agropoli per la grande tradizione nel mondo della pallacanestro e ancora di più Antonio Paternoster. Quando seppi della sua volontà di rinnovare lo staff non esitai un minuto a contattarlo. Poi tutto avvenne in modo molto semplice, grazie anche alla schiettezza con la quale un pomeriggio di metà luglio ebbi modo di parlare con Franco Di Sergio e Giulio Russo, rispettivamente direttore sportivo e presidente della società campana. Ad oggi posso dire di essere estremamente soddisfatto della mia scelta, puntando su Antonio e il Basket Agropoli, e spero che loro possano dire lo stesso.

Oltre ad essere l’assistente di Paternoster, anche quest’anno hai rivestito il ruolo di responsabile del settore giovanile: come è andata la stagione?
Con il settore giovanile abbiamo svolto un buon lavoro che, al di là dei positivi risultati sportivi, ci ha permesso di crescere ragazzi che nei prossimi anni potranno fungere da serbatoio per la prima squadra. Dal mio punto di vista penso che questo debba essere l’obiettivo principale di ogni società sportiva.

Il tuo coach di riferimento è stato Sorgentone ai tempi di Chieti, ma quale guida tecnica reputi così completa nel mondo del basket da prenderla ad esempio?
Ho già avuto modo di ringraziare Domenico in più di un’occasione perchè mi ha concesso di seguirlo da vicino nel suo primo anno a Chieti, proprio quando conquistò la promozione in LegaDue, con un’annata trionfale simile a quella che sta vivendo Agropoli. Ho avuto modo di carpire il suo metodo di lavoro, le sue idee, il suo modo di relazionarsi con squadra e società, il suo credo cestistico. Se devo indicare una “guida tecnica” da prendere ad esempio, beh, uno di questi è proprio coach Sorgentone, l’uomo che in 30 anni di carriera ha vinto ben undici campionati!

Lo scorso anno la decisone di tornare nel tuo paese d’origine, Bernalda, per iniziare un’avventura con la storica formazione di basket locale, la Cestistica, nel campionato DNB. Cosa non è andato in quel progetto e cosa ha rappresentato per te la scomparsa della squadra di basket bernaldese?
La decisione di tornare a Bernalda fu molto difficile, figlia di una situazione non cercata e desiderata. Trascorsi un’estate molto “movimentata” e quando presi la decisione di lasciare la Stella Azzurra ebbi modo di parlare con coach Luciano Cotrufo e capii che c’era la possibilità di fare bene insieme con la Cestistica Bernalda, la società del mio paese, la società con la quale la mia passione ebbe inizio. L’inizio stagione fu a dir poco sopra le nostre aspettative: eravamo al quarto posto, la società rispettava i contratti e i giocatori lottavano su ogni palla, tanto in allenamento quanto in partita. Poi i soliti problemi finanziari che affliggono gran parte delle società dell’intera penisola, con l’aggiunta di incapacità di comunicazione e modi di fare “discutibili” da parte della dirigenza fece si che il “giocattolo Cestistica” si rompesse. Gli ultimi cinque mesi furono al limite della sopportazione, ma, nonostante tutte le difficoltà, riuscimmo a qualificarci per i play off promozione.

Reputi possibile un ritorno al timone della squadra di basket di Bernalda, attualmente impegnata in DNC?
Oggi ti rispondo, forse ancora un po’ scottato dall’esperienza dello scorso anno, che difficilmente mi vedo sulla panchina di Bernalda, seppur in un campionato prestigioso come la DNC. Non credo possa essere la strada giusta da percorrere, soprattutto in un contesto come quello che si è creato in riva allo Jonio. La perdita di entusiasmo attorno al movimento di basket bernaldese è uno dei motivi primari: la gente ormai vede il basket con scetticismo, conosce le “baggianate” commesse da chi si è voluto prendere l’onore di portare avanti il “gioiello della città”, come veniva definito dai bernaldesi stessi, e si è stufata di promesse mai mantenute.

Una realtà lucana di basket che stimi e che merita importanti palcoscenici?
In Basilicata c’è una società che negli anni ha conquistato sul campo il campionato di Serie A2 in cui oggi milita, una società che è ai vertici del basket italiano per professionalità e serietà: esiste e si chiama Bawer Matera. Quest’anno si è presa un anno sabatico, in virtù anche della riforma dei campionati, e personalmente dico che anche quest’anno ha fatto la cosa più giusta e ragionevole, anche se i risultati sportivi non sono stati positivi.
Poi voglio fare un po’ di campanilismo e cito la società Riva Dei Greci Bernalda, presieduta e coordinata dal mio amico Giuseppe Carella, il quale tra mille difficoltà, ha preso le redini del basket giovanile di Bernalda. In pochi anni è riuscito a far avvicinare centinaia di famiglie allo sport e il suo lavoro viene riconosciuto positivamente anche fuori dal territorio bernaldese.

Altro passaggio importante della tua carriera quello di Roma, come secondo di Coach D’Arcangeli alla Stella Azzurra e il quarto posto nazionale con le giovanili. Quali ricordi hai di quella stagione?
La Stella Azzurra è l’idea che in Italia manca per far crescere questo sport: lavorare con i giovani a 360° per 365 giorni l’anno. Germano D’Arcangeli, poi, è un maestro, ma anche un padre per tutti i ragazzi che allena. I risultati stanno arrivando, con due scudetti giovanili nelle ultime stagioni sportive e credo siano solo all’inizio di un grande percorso. I ricordi più belli legati alla Stella Azzurra sono sicuramente le finali nazionali DNG e la squadra che allenavo da head coach, formata da ragazzi nati nel 2001, con la quale ho raggiunto importanti risultati sportivi, uno tra tutti la vittoria del prestigioso Memorial Papini, e anche personali.
Il giocatore più forte che hai allenato?
Mi piace pensare che debba ancora nascere…

Rimpianti e sogni nel cassetto per la tua carriera di coach?
Non mi piace parlare di rimpianti, mentre i sogni sono tanti: uno tra tutti arrivare con la giusta preparazione e competenza in Serie A, in modo da poter lavorare ad alti livelli per il resto della mia carriera.

Cosa ami del basket e in cosa credi che debba migliorare il mondo della pallacanestro?
Del basket amo la sua imprevedibilità durante le partite e la sua magia durante gli allenamenti, soprattutto quelli individuali, nei quali entri in un contatto da “sotto pelle” con il giocatore. Chi entra nel mondo del basket non ne esce illeso.
Purtroppo, come accade nelle più belle favole, c’è sempre la “strega cattiva”: a volte si tratta di incompetenza, altre di ignoranza, altre ancora di falsità. Oggi le società italiane navigano nel buio, specie durante i momenti di post season, quando c’è da tirare le somme e programmare la nuova stagione: regole che cambiano, tasse che aumentano, sponsor che non danno sicurezze. Penso che i vertici federali stiano lavorando in funzione di un futuro migliore, per lo spettacolo ma soprattutto per tutti gli addetti ai lavori. Ma la strada è lunga e ad oggi c’è tanto da camminare.
Nonostante ciò lavoro ogni giorno perché il mio sia un piccolo ma significativo contributo al “mondo basket”: la lealtà, la professionalità, la passione e la perseveranza devono essere i nostri marchi di fabbrica!

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