Le insidie mortali di via Cererie a Matera: uno schiaffo alla memoria di Emanuele Pellegrino morto per un tombino.

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Uno dei tombini killer di via Cererie (nel riquadro Emanuele Pellegrino)

Via Cererie a Matera è forse la strada che presenta più insidie mortali per chi va in moto o in bici. Poco o niente è stato fatto in quella strada se ancora oggi, nel 2021, documentiamo una situazione critica per la sicurezza stradale con tombini scoperti di oltre 11 centimetri rispetto al piano stradale. Praticamente la stessa condizione che causò l’incidente del giovane Emanuele Pellegrino morto due anni fa nella stessa strada finendo con la moto su un tombino identico, pericoloso per assenza di manutenzione. Uno schiaffo alla memoria di Emanuele Pellegrino che in quella maledetta strada cadde dallo scooter insieme alla sorella che era a bordo con lui e che rimase gravemente ferita. Oggi la situazione della manutenzione stradale è peggiorata anziché migliorare: poco più avanti del tombino dell’Acquedotto Lucano (foto in alto) si trova un altro tombino fuori posto (nei pressi della ex Barilla). Il tombino in questione (foto qui sotto) è semplicemente appoggiato al bordo e addirittura ruota su se stesso alla minima pressione, scoprendo il pozzo che dovrebbe sigillare. Un tombino non ancorato che rappresenta un problema serio di sicurezza. Solo pochi giorni fa il Pubblico Ministero del tribunale di Matera Annafranca Ventricelli, ha chiesto il rinvio a giudizio per l’allora sindaco della città dei Sassi Raffaello De Ruggieri per “negligenza ed imperizia, nonché per la violazione delle norme per la circolazione stradale in materia di garanzia e sicurezza ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 285 del 1992”. Per lo stesso capo d’accusa sono imputati l’allora dirigente del settore lavori pubblici del Comune di Matera, Sante Lomurno, l’amministratore unico di Acquedotto Lucano, Giandomenico Marchese, e il direttore dell’area tecnica di Acquedotto Lucano, Raffaele Pellettieri insieme al direttore operativo Rosanna Brienza e la responsabile del centro operativo materano di Acquedotto, Elena Artuso. Secondo l’accusa, la responsabilità riguarderebbe la colposa imperizia nel lasciare in quella posizione il tombino, con un dislivello di 8 cm rispetto al manto stradale, cagionando l’incidente che ha poi spezzato la vita di Emanuele Pellegrino. Il reato, a norma di legge, è punito con la reclusione da due a sette anni. Oggi un altro tombino di acquedotto lucano presenta un dislivello di 11 centimetri e ancora nessuno è intervenuto per metterlo in sicurezza.

 

 

 

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